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Giornata della Memoria.
Gli alunni della Galiani testimoni contro ogni forma di discriminazione.

002Il 27 gennaio si celebra una memoria che sa essere debole, insicura, pronta a sbiadire. Si cerca di allenarla, rinnovarla, di darle significato, ma troppi elementi continuano a dirci che questo non sta accadendo. La memoria dell’Olocausto, come quella di qualunque genocidio compiuto dall’uomo nella storia, soffre lo scorrere del tempo.

Nelle scuole, nelle piazze, davanti alle lapidi e ai memoriali, si scandisce e si ripete “mai più”, eppure persistono – quando non ne nascono di nuovi – i muri che continuano a dividere. Ci sarà di certo qualcuno che dirà di essersi stancato di ricordare una tragedia che appare lontana, che ha coinvolto maggiormente un popolo percepito anch’esso come lontano; eppure, al contrario, è proprio da questo rifiuto del passato che bisogna partire per una riflessione sul presente.

La nostra Europa non è certo quella della Seconda guerra mondiale, ma ciò non vuol dire che non si tratti di una comunità in cui non esistano più barriere. Dovessimo elencarle e analizzarle tutte, tra muri metaforici e sociali, queste righe non basterebbero. Ma esistono anche barriere tangibili, fisiche, visibili con gli occhi e matericamente concrete.

Il plesso della Scuola secondaria di I grado “Galiani” ha voluto, dunque, insistere su un insegnamento che l’esito della Seconda guerra mondiale ci ha consegnato: non era e non è più possibile vivere in una comunità fatta di sottoinsiemi divisi l’uno dall’altro in compartimenti stagni.

È per questo che tutti gli alunni hanno realizzato uno dei tanti simboli discriminatori delle leggi razziali, dai rom ai sint, dagli ebrei agli omosessuali, dagli oppositori politici ai testimoni di Geova, così da insistere sulla gravità delle categorizzazioni e sui muri che i marchi sanno erigere. Nomi di deportati di ogni nazione e tipologia, poi, sono stati inscritti all’interno di questi simboli, così che ogni alunno ne conoscesse almeno il nome, rendendo onore a una memoria fatta di persone reali, vissute, esistite.

Sabato 26 gennaio 2019, tutti i ragazzi hanno varcato la soglia della nostra scuola portando al petto un marchio che li rendesse diversi, immedesimandosi per qualche ora in un deportato a cui veniva rimossa ogni peculiarità specifica, riducendolo ad una categoria da discriminare.

Toccante e inaspettata è stata la partecipazione attiva e intensa degli alunni, che hanno preso parte all’iniziativa con adesione viva ed emotiva, accompagnati dalla musica ebraica che i docenti di musica hanno scelto e riprodotto in filodiffusione per tutti i corridoi scolastici.

Le finestre che danno su Piazza Europa, poi, si sono mutate nei finestrini di un treno merci, ai cui vetri sagome di uomini chiedevano pietas, ricordando il tristissimo “binario 21” in un lavoro delle alunne di 2^ E: Bruno Lucia, De Bonis Maria Luisa, Fratino Luisa, Gatta Cecilia, Lalla Maria Grazia, Marsiglia Anna Caterina, Scarale Matilde, Tortorelli Maria Lucia.

Treno merci che i ragazzi hanno ritrovato all’ingresso, insieme ai volti di alcuni deportati famosi. Sulla soglia della scuola - a caratteri cubitali e con lo stesso font di quell’amarissimo e spettrale ARBEIT MACHT FREI - , campeggia la frase “La cultura rende liberi”, dai cui fii spinati fioriscono fiori capaci di generare rinascita e vita nuova (lavoro realizzato dalle alunne di 3^E: Ciavarella Caroline, Ercolino Sara, Lalla Marta, Turano Claudia).

Una valigia di ricordi pop up rende omaggio, infine, ai bambini deportati nel campo di Terezin, in un lavoro dell’alunno Florio Michele di 1^F, le cui farfalle colorate si stagliano contro la recinzione di dolore e morte inflitta a bambini innocenti.

Per la nostra scuola, dunque, dare valore ai “mai più” e ai “per non dimenticare” del 27 gennaio vuol dire combattere le divisioni che ancora qualcuno cerca di creare e alimentare. Ma per riempire di contenuti quelle piccole venature retoriche presenti nelle celebrazioni per il Giorno della Memoria, troppo spesso ripetute come leit motiv sordi e svuotati, un impegno su tutti deve essere preso dalle giovani generazioni: farsi testimoni.

Ascoltare i racconti, leggere le memorie, vedere e sentire la storia nei luoghi in cui è stata fatta: questo è stato compiuto in ciascuna aula del nostro istituto, da ciascun docente e con tutti gli allievi, volendo formare testimoni di seconda, terza, quarta generazione che percepiscano con i propri sensi e le proprie emozioni la gravità di ciò che è accaduto.

Per non dimenticare davvero, mentre gli anni ci camminano addosso, bisogna sentire e vedere e toccare, affinché la creazione di un’Europa unita e senza muri possa tradursi in una pagina della storia reale, senza restare un sogno utopico sempre meno realizzabile.

Daniela Pirro

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